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RU486 ABORTO A DOMICILIO seconda parte


INTERRUZIONE PRIVATA DI GRAVIDANZA
L’ABORTO RICADE IN TUTTO SOLO SULLA DONNA: CHE LIBERTA’ E’ QUESTA?

 

Come è stato spiegato nella prima parte, l’aborto farmacologico realizzato con l’uso della pillola Ru486 è una forma di interruzione volontaria di gravidanza. La tecnica è chimica e come quella chirurgica è una IVG e dunque è la soppressione di una vita umana.

 

In Italia il ricorso all’aborto non viene riconosciuto come diritto (della donna), ma resta un illecito, tuttavia la legge 194 legalizza l’aborto in via di eccezione solo quando abbia finalità terapeutiche per la salute della madre e sempre che sia praticato in una struttura sanitaria pubblica.
L’uso della pillola abortiva Ru486 supera e svuota la legge 194 che, pur essendo una legge integralmente iniqua, è una legge che pone dei limiti.

 

Dal momento che l’aborto chimico viene risolto fuori dalla legge 194, non potremmo nemmeno più definire l’interruzione di gravidanza “volontaria”, ma si potrebbe dire che l’interruzione viene indotta perché alla donna viene tolta qualsiasi libertà di scelta.
Nello scenario della pillola abortiva cambia radicalmente la scelta per la donna e l’interruzione di gravidanza diventa “privata”.

 

Già nel 1999, il New York Times definiva la pillola Ru486 come “The little white bomshell”, la piccola bomba che può riscrivere la politica e la percezione dell’aborto, come sta appunto accadendo. E’ vero che la Ru486 ha implicazioni non solo sull'esperienza femminile dell'aborto ma anche sulla politica dell'aborto.

Un limite è che l’interruzione volontaria della gravidanza deve avvenire in ambito ospedaliero, poiché vi è un esigenza di salvaguardia della salute della donna.


La legge 194 nasce da un pessimo compromesso che venne in qualche modo originato dalla sentenza n. 27 del 1975 della Corte Costituzionale che, pur riconoscendo la tutela del concepito come fondamento costituzionale, rinvenendo tale assunto nell’art.2 della nostra Carta Costituzionale, posto a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo, affermò che”…non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona come la madre e la salvaguardia dell’embrione che persona ancora deve diventare”.

 

Il concepito, quello che verrà chiamato grumo di sangue, in realtà è una vita umana, come per altro ha anche stabilito una sentenza la n° C-34/10 della Corte Europea di Giustizia, caso Oliver Brüstle vs Greenpeace 18 ottobre 2011 dicendo che non può essere oggetto di manipolazione neanche a fini medico-scientifici.

In tale sentenza la questione principale riguarda la nozione di embrione umano. “Costituisce un embrione umano – affermano i giudici – qualunque ovulo umano fin dalla fecondazione, qualunque ovulo umano non fecondato in cui sia impiantato il nucleo di una cellula umana matura e qualunque ovulo umano non fecondato che, attraverso partenogenesi, sia indotto a dividersi e a svilupparsi”.

 

Quindi nella Legge 194 emerge un conflitto: da un lato vi è il concepito, che è una vita umana e dall’altro vi è la gestante. Tale conflitto viene risolto attribuendo tendenzialmente prevalenza a un diritto della gestante.
Ma il conflitto c’è e permane, tanto è vero che lo stesso legislatore all’art. 5, prevede che la donna venga in qualche modo anche aiutata in questo percorso.

 

La gestante, infatti, deve rivolgersi ad un consultorio o ad una struttura sociosanitaria o anche al proprio medico di fiducia: costoro, secondo la previsione della legge, devono (o almeno dovrebbero) indurla a riflettere, dissuaderla, prospettando le possibili alternative anche in termini di sostegno economico, sociale, psicologico. Se essi, poi, ravvisano l’urgenza dell’intervento rilasciano un certificato con il quale la donna può immediatamente recarsi ad abortire, altrimenti redigono un certificato che attesterà la gravidanza e la richiesta della gestante. Costei, decorso un termine non inferiore a sette giorni, sarà legittimata ad ottenere l’intervento chirurgico.

 

Tuttavia una volta che l’interruzione di gravidanza viene portata fuori dall'ospedale, tutto l’impianto dell’art. 5 viene meno. Infatti non c'è alcuna possibilità di presentare alla donna un’alternativa. E questo comporta una interruzione indotta di gravidanza e in realtà questa situazione è ben presente ai sostenitori della deospedalizzazione e della deregulation.
In un articolo sull’Internazionale del 2018, “Libere di abortire con una pillola”, si diceva che lo scopo è quello di fare in modo che alla donna non gli venga proprio in mente di mettere in discussione la sua autodeterminazione.

 

Una ginecologa abortista dice: “vedo ancora donne venire con dei sensi di colpa”, bisogna, fare in modo che non vi sia un soggetto, un terzo incomodo che si avvii a rappresentare alla donna una terza possibilità.

 

L’art. 5 della legge 194 prevede la possibilità che in questo processo abortivo, in cui si manifesta un conflitto tra il concepito e la gestante, vi sia un terzo soggetto che è il medico e nel caso della minorenne è il giudice, che può decidere di far riflettere la donna sulla scelta da operare.

 

Un altro limite che pone la legge 194 è l’obiezione di coscienza che il ricorso alla pillola Ru486 in realtà elude completamente.
Con il ricorso generalizzato all’aborto farmacologico deospedalizzato, semplicemente l’obiettore diventa irrilevante. Infatti se l’assunzione della pillola avviene in ambiente extra ospedaliero non c’è la possibilità di richiedere di sottoporsi al trattamento in ospedale.

 

La legge 194 all’art. 9 limita la possibilità di invocare l’obiezione di coscienza per le sole attività specificamente e necessariamente dirette all’interruzione volontaria di gravidanza. Nel caso di uso della pillola Ru486 non è possibile invocare l’obiezione di coscienza per ciò che viene prima dell'intervento nè per ciò che viene dopo l’atto abortivo, come neppure è invocabile tutte le volte in cui si tratti di terapie d’urgenza ovviamente perché vi sono situazioni che mettono in percolo la vita.

 

Ma se la pillola viene assunta in ambiente extraospedaliero, quando è che la gestante, la donna si presenterà in ospedale? Quando oramai l’effetto abortivo si è già compiuto e quindi si tratta in realtà di intervenire nell’attività successiva.

 

Dunque in quel caso anche il medico obiettore è tenuto a intervenire. Non ha nessun rilievo, non può invocare l’obiezione di coscienza, anzi sbaglierebbe se l’invocasse e incorrerebbe in responsabilità penali sia per omissioni di atti d’ufficio ed eventualmente anche per lesioni colpose.

Dunque non soltanto viene elusa l’obiezione di coscienza, ma in qualche modo l’obiettore viene anche esposto a conseguenze penali, ove mai non prestasse la sua attività in favore della donna.


Anna Cavallo


14 luglio 2020

 

 

Fonti


Movimento per la Vita Italiano www.mpv.org RU486: cosa sta succedendo, 7 luglio 2020,

Domenico Airoma e Assuntina Morresi
“Le problematiche giuridiche inerenti all’interruzione di gravidanza attuata attraverso l’assunzione della pillola abortiva Ru486”, Patrizia Gallucci, Relazione Convegno. Nola, 9 dicembre 2009, www.iusit.com

“The little white bomshell”, Margaret Talbot, New York Times, July 11, 1999
“Libere di abortire con una pillola”, Annalisa Camilli, Internazionale, 13 aprile 2018

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