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RU486 ABORTO A DOMICILIO … prima parte
NON VOGLIAMO MORIRE L’ABORTO CLANDESTINO DEVE FINIRE … e legge 194 fu!
Questo è uno degli slogan pro aborto degli anni ’70, anni che hanno visto la ‘gestazione’ della legge 194, ‘partorita’ nel 1978, che ha reso legale la interruzione di gravidanza.
Aprile 2020 pandemia Coronavirus, "L'emergenza blocca gli aborti, diamo a casa la pillola Ru486".
L’aborto torna ad essere un fatto privato delle donne. L’aborto torna a casa come al tempo delle ‘mammane’, un fatto nascosto agli occhi del mondo, della famiglia. Solo la donna protagonista nella solitudine della sua casa, della sua stanza. Dov’è tutta la propaganda, tutte le ragioni addotte dai sostenitori della 194 che hanno voluto l’aborto come fatto sociale, riconosciuto dalle istituzioni per garantire la salute fisica, psicologica della donna, all’interno del Servizio Sanitario Nazionale?
A parte le gravi questioni morali e psicologiche che conosciamo (ma forse non abbastanza), vi sembra che la RU486 sia la soluzione all'ospedalizzazione? Certo che no.
Non sarà mica una richiesta ideologica?
La L.194 è da considerare una legge iniqua, in alcune sue parti mai applicata (art.2 sulla assistenza della donna in gravidanza da parte dei consultori), ma con la pillola RU486 a domicilio, si cerca di peggiorare la situazione eliminando di fatto una procedura che garantisce assistenza sanitaria ed eventuali condizioni con cui si potrebbero eliminare le cause che portano la donna ad interrompere la gravidanza.
Si tratta quindi di un progetto politico, basato sull’equivoco voluto dell’aborto facile e senza conseguenze.
Già nel 1991 negli USA, tre donne docenti universitarie scrissero un libro che parlava proprio delle bugie dei miti attorno alla RU486. Nel 2006 in Italia usciva il libro ‘La favola dell’aborto facile’ di Assuntina Morresi ed Eugenia Roccella che sottolineava lo stesso problema di questa pillola abortiva, in epoca diversa e diversi contesti, ma sottolineando l’equivoco appositamente voluto della facilità dell’aborto chimico rispetto a quello chirurgico.
Oggi negli ospedali la donna può chiedere l’aborto chimico e in osservanza a quanto raccomandato dal Consiglio Superiore di Sanità, in regime di ricovero ordinario, da effettuarsi fino alla settima settimana di gravidanza. Ma in realtà l’AIFA (agenzia di vigilanza farmaci) ha modificato il foglietto illustrativo in silenzio spostando il termine a nove settimane.
L’aborto farmacologico prevede la somministrazione di due principi attivi in tre giorni, con ricovero ospedaliero, per consentire alla donna di essere coperta dal servizio sanitario durante tutto il percorso abortivo, perché si potrebbero verificare effetti collaterali fastidiosi o una emorragia importante. Ogni donna è diversa e risponde in modo diverso alle stimolazioni delle pillole.
Il primo giorno viene somministrata la RU486 il cui principio attivo si chiama mifepristone e l’effetto che produce è la morte lenta di fame dell’embrione annidato. Il terzo giorno viene somministrata la prostaglandina, il prodotto più usato è il misoprostol. Nell’eventualità che l’espulsione del sacco embrionale non avvenga in maniera completa è necessario ricorrere al raschiamento.
Con questa procedura la donna non può sapere a priori quando l’embrione muore e quando viene espulso. In realtà si tratta di aborto incerto, che avviene con una emorragia. Secondo la letteratura scientifica il 5% delle donne avrà l’emorragia dopo la prima pillola, il 60% dopo 4-6 ore dalla seconda pillola, il 20-25% entro le 24 ore dalla seconda pillola, il 10% nei giorni successivi. Il 5% delle donne non abortisce o non ha un aborto completo, quindi si deve sottoporre ad un intervento della cavità uterina. E poi ogni donna ha i suoi effetti collaterali che vanno dai dolori addominali, nausea, vomito, vertigini, ansia e depressione.
La scusa della pandemia che ha fermato le attività dei consultori, chiuso molti reparti ospedalieri (problema non solo per l’aborto, ma anche per chi con patologie importanti doveva fare terapie), ha spinti i sostenitori dell’aborto casalingo a chiedere un cambiamento radicale e definitivo sulla prassi dell’interruzione di gravidanza, così come in Francia patria della RU486.
In Francia tutto questo avviene in completa deospedalizzazione. La donna prende la pillola davanti al medico di base (non il ginecologo) e va a casa con la seconda pillola e gli antidolorifici. Poi è abbandonata a se stessa! Come e quando avviene l’emorragia diventa un fatto personale.
La donna medico di se stessa, sapendo che da un momento all’altro può avere una emorragia di sconosciuta entità, controllando la quantità di emorragia, tenendo a bada i sintomi collaterali, nella totale responsabilità della procedura, che in ospedale invece è affidata al medico.
E’ vera libertà questa? E’ davvero il bene della donna che si sta tutelando?
Germana Biagioni
12 luglio 2020
Fonte:
Ciclo di webinar sull’attualità della cultura per la vita
RU486: COSA STA SUCCEDENDO?
di Assuntina Morresi
www.mpv.org